La Suprema Corte di Cassazione afferma la “legittimità d’uso” e la non applicazione della normativa sugli stupefacenti. Non sono legittimi i sequestri preventivi ed il consumo non equivale al consumo personale di Marijuana NON Light.
La sentenza depositata in data 31.01.2019 dalla Sez. VI della Corte di Cassazione è una grande conquista per la realtà della Cannabis Light (produttori, commercianti, rivenditori e consumatori), in quanto ha fatto luce in merito al rapporto tra la nuova normativa della L. n.242/2016 sulla “Cannabis agroindustriale” e il DPR 309/90 in materia di “stupefacenti”.
Avevamo già scritto in merito alle conseguenze di questa sentenza della Suprema Corte di Cassazione. In questo articolo affronteremo le novità di questo atto, attraverso il parere tecnico di un avvocato: le istanze delineate dalla Cassazione in linea con quanto già affermato dalla circolare del Ministero delle Politiche Agricole del 2018, sulla non accertata pericolosità dei prodotti derivati dalla coltivazione ai sensi della legge sulla Cannabis agroindustriale, e sulla normativa applicabile in tema di Cannabis Light.
La storica decisione della Cassazione
La Suprema Corte ha annullato senza rinvio il sequestro disposto dal Riesame di Macerata nei confronti di un 28enne che aveva posto in commercio infiorescenze di cannabis: i giudici marchigiani avevano ritenuto che la legge del 2016 sulla coltivazione della canapa – con la quale viene indicato come limite lo 0,6% del principio attivo THC – non rappresentasse una deroga alla disciplina penale in materia di stupefacenti.
Una svolta per coloro che hanno investito ingenti quantità di denaro nel commercio della Canapa industriale, anche in seguito alla “infelice” circolare inviata dal Ministro degli interni ai comandi di polizia, che, alla luce dell’intervento chiarificatore della Suprema Corte, non trova alcun fondamento legislativo, ed anzi si posiziona in assoluta contraddittorietà con il sistema di diritto Italiano ed Europeo in materia di commercializzazione di prodotti.
La Cannabis Light non è una sostanza stupefacente
In primo luogo, la Cassazione, dopo avere delineato in maniera esaustiva le due diverse normative, afferma la inapplicabilità della disciplina degli stupefacenti (DPR 309/90) alla produzione e commercializzazione dei prodotti provenienti da coltivazioni lecite ai sensi della L. n.242/2016.
La Corte afferma che la cannabis è una pianta e non una sostanza chimica, e che il THC – solo in presenza di determinate concentrazioni – è considerato sostanza stupefacente alla luce del Testo Unisco sugli Stupefacenti, richiamando la circolare del Ministero che, in linea con gli ultimi studi di settore, afferma la non pericolosità della cannabis avente una concentrazione di THC inferiore allo 0.6%. Ed ancora, lo stesso DPR del 90 e la giurisprudenza hanno individuato una concentrazione similare al predetto limite, al fine di individuare la quantità minima di principio attivo idoneo a produrre l’effetto drogante (come anche affermato dal decreto del ministero della Salute dell’11 aprile 2006).
Consentita anche la vendita per il consumo
Fatta questa premessa, il ‘nodo’ della questione in esame, si legge ancora nella sentenza, è “se la commercializzazione possa riguardare anche la vendita al dettaglio delle infiorescenze contenenti il Thc (nei limiti) e il Cbd (che non ha effetti stupefacenti e mitiga quelli dell’altro principio chimico) per fini connessi all’uso che l’acquirente riterrà di farne e che potrebbero riguardare l’alimentazione (infusi, the’, birre), la realizzazione di prodotti cosmetici e anche il fumo“.
La legge sulla canapa del 2016 non parla della commercializzazione, ma, secondo la Cassazione, “risulta del tutto ovvio” che sia “consentita per i prodotti della canapa oggetto del sostegno e della promozione” espressamente contemplati dalla legge.
È questo il punto di svolta delineato dai giudici, i quali esprimono una linea diversa da quella sancita in precedenza dalla Corte, secondo cui “la presenza di un principio attivo sino allo 0,6% è consentita solo per i coltivatori non anche per chi commerci i prodotti derivati dalla cannabis“.
I prodotti a base di Cannabis Light sono dunque legali
Con questa sentenza, infatti, la Cassazione afferma che “dalla liceità della coltivazione della cannabis” stabilita con la legge del 2016 “deriverebbe la liceità dei suoi prodotti contenenti un principio attivo Thc inferiore allo 0,6%, nel senso che non potrebbero più considerarsi (ai fini giuridici) sostanza stupefacente soggetta alla disciplina” penale prevista dal Testo unico sugli stupefacenti (Dpr 309/1990).
In ragione di ciò si afferma subito l’inapplicabilità del regime dei controlli di cui al DPR 90, quindi, non solo il coltivatore, ma anche il commerciante in possesso di prodotti derivati da coltivazione lecita, sarà assoggettato al regime di controlli della legge applicabile – L.242/2016 – che prevede l’impossibilità del sequestro preventivo e la procedura di controlli a campione dei prodotti, e soltanto qualora venga superato il limite (0,6% THC) il giudice potrà disporne il sequestro o la distruzione.
È da sottolineare che la Corte, nel caso in cui venga superato il limite, non sostiene che il giudice debba automaticamente ritenere sussistente il reato di spaccio o cessione di cui all’art.73 DPR 309/90, ma dovrà accertare di volta in volta la pericolosità della sostanza, quindi, analizzando anche le concentrazioni di THC presenti, al fine di verificare l’effettivo effetto drogante della sostanza.
La Cassazione fissa, quindi, nello 0,6% il ragionevole equilibrio tra le esigenze precauzionali relative alla tutela della salute e di ordine pubblico, sottolineando la non pericolosità relativa anche a qualsiasi utilizzo che ne voglia fare l’utilizzatore; limite al di sotto del quale i possibili effetti della cannabis non devono considerarsi psicotropi o stupefacenti.
Quali conseguenze per i consumatori in caso di fermo da parte delle forze dell’ordine
Dalla piena legittimità dell’uso della cannabis proveniente dalle coltivazioni lecite deriva che il suo consumo non configura neanche la fattispecie del c.d. “consumo personale” – illecito amministrativo ex art.75 DPR del 90 – a meno che non si provi che il prodotto sia stato in qualche modo alterato e che il possessore ne sia consapevole.
Tale conclusione porta a delle conseguenze di particolare spicco, ritenuto che il consumatore di Cannabis Light non sarà costretto, in caso di ritrovamento da parte degli organi di polizia di prodotti a base di Cannabis Light, a subire le conseguenze dell’illecito del consumo di marijuana (sospensione della patente, sedute dall’assistente sociale, etc.), intendendo quest’ultima quella contenente concentrazioni di THC superiori a quelle della legge 242/2016.
Il consumo di Cannabis Light non equivale al consumo di marijuana
Quindi, anche per il consumatore-utilizzatore, come per il commerciante, dovranno provarsi le condizioni ed i presupposti per la sussistenza del reato (e dell’illecito amministrativo), compreso il superamento della soglia drogante e, ovviamente, la consapevolezza del consumatore.
Infatti, come sostiene anche la costante giurisprudenza “un reato ex art.73 DPR 309/90 può configurarsi solo se si dimostra con certezza, che il principio attivo contenuto nella dose destinata allo spaccio, o comunque oggetto di cessione, è di entità tale da potere concretamente produrre un effetto drogante” (Cass. Pen., sez. VI, n.8393 del 22.01.2013).
Una sentenza innovativa che giustifica produzione e commercio
Subito si avverte la portata innovativa della sentenza della Suprema Corte, la quale, giustifica il commercio alla luce dei principi generali dell’ordinamento, tutelando coloro che hanno investito nella causa della Cannabis Legale, che in base agli ultimi dati statistici ha avuto un notevole impatto nell’economia italiana, ed ha stimolato la produzione agricola, settore quest’ultimo di notevole importanza nell’economia del nostro paese e che negli ultimi anni ha subito una involuzione.
“Studio legale Rubino – Palermo, Dr. Claudio Rubino per Light Italy“